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*Ultime pagine del diario di Dy'noire U'thariol Mey'llen*

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Highway To Ocean
view post Posted on 8/9/2015, 14:10




Diario dell’incantatrice Dy’noire U’thariol Mey’llen, Decimo giorno del mese di Yavannië, anno 1436 Q.E. devono essere circa le dieci del mattino, secondo i nostri calcoli, ma non è facile accertare lo scorrere del tempo qui, dove giorno e notte continuano a mutare e confondersi.

Sono passati quattro giorni.
Quattro giorni di freddo intenso, di sussurri, di pietre in rovina che tornano nuove come appena fatte, di illusori fantasmi sulle strade un tempo vuote o popolate da ombre inconsistenti.
Quattro giorni di ricerche, e di combattimenti, e di morti.
Quattro giorni da quando, con difficoltà a dopo svariati tentativi, riuscii ad aprire un portale per questo luogo antico ove solo io e Annan eravamo state prima... e mio padre.
E’ evidente che l’esplosione dell’intensissimo potere di illusione che ha causato squarci temporali in tutto il regno di Arnor è partita da qui. Qui, dove il casato da cui provengo regnava un tempo remoto. Qui dove qualcosa di alieno ed estraneo ha tentato di accaparrarsi un potere non suo, antico, troppo forte e troppo instabile dopo anni quiescenza.
Non scriverei questo resoconto se la situazione non si fosse resa così disperata da richiederlo.
Se avessi la certezza di poter tornare a casa, ove tutto è stato sempre pace e oscura bellezza, non affiderei le mie ultime memorie ad un quadernetto di pelle consunta trovato nel fondo del mio zaino da viaggio.
Ma mia madre deve sapere.
Holan deve sapere.
Caranthìr, Haran, Ra’hen, Leo e Morshandar, Annan e gli altri devono sapere.
Devono sapere che nessuno poteva prevedere questo. Che la vita riserva l’impossibile... e che l’impossibile, a volte, non si può combattere.
Arrivammo in quindici attraverso il portale, in quelle che dovevano essere le rovine dell’antica Fornost, al fine ultimo della Men Erain.
Avevo già visitato molte volte la rocca, in passato. La mia casata vi regnò per secoli, noi che siamo eredi di colui che divenne il primo re di Arthedain, e quivi ritrovai gli antichi Annali degli U’thariol dai quali appresi la storia della mia famiglia, della necromanzia che ci scorre nelle vene, dell’eredità di Signori di Anime che solo il nostro sangue ha conservato nelle ere, e che ci permette di essere gli unici a comprendere le anime dei defunti.
Conoscevo le rovine come il palmo delle mie mani nere, eppure... eppure non furono rovine quelle che si presentadono ai miei occhi, ma l’antica città ricostruita, scintillante sotto la neve, i grigi tetti intonsi, i muri freschi di malta e di bassorilievi, la porta della cittadella intoccata, con le ali di gabbiano della dinastia di Numennorè scintillanti d’oro al sole autunnale.
Per le strade non v’era traccia di spiriti e Ombre com’era sempre stato. Si presentarono vuote ai nostri occhi, a parte qualche sporadico sussurro o voce incorporea, come se bambini invisibili giocassero sulle pietre della pavimetazione, o invisibili madri corressero loro appresso ridendo gioiose.
Controllammo, esplorammo, facemmo esperimenti.
Qui, ove la magia si era scatenata per raggiungere poi tutte le terre, il campo magico era stabile e regolare. Quelli di noi che usufruiscono della magia la potevano controllare nella migliore delle maniere, e questo ci rassicurò un poco. Avevamo l’invisibilità, la visione, e tutto ciò di cui nevessitavamo per analizzare al meglio la situazione.
Solo il secondo giorno iniziammo a vedere “cambiamenti”. Battaglioni di soldati che sfilavano per le strade, svoltando un angolo e scomparendo nel nulla. Mercanti innanzi alle loro botteghe che comparivano improvvisamente, strillando del prezzo del pesce o del pane per qualche minuto e dissolvendosi subito dopo.
Invisibili e nascosti, giungemmo così alla cima della cittadella, da cui tutto sembrava essersi scatenato.
Profondi solchi di artiglio segnavano le nuove pietre della piazzetta antistante la sala del trono... artigli di drago, indubbiamente. Non mi fu necesario più di qualche secondo per riconoscerli, ed allora compresi: una sola creatura possiede un potere arcano tale da interferire e modificare il campo magico che circonda Fornost. Come prima, come alla piramide e a Nurn, uno dei discepoli figli di Menkor aveva combinato un guaio al quale noi avremmo dovuto porre un freno ed un rimedio.

Sfilammo così nel mezzo di due file di guardie reali, ed aprimmo le porte della sala del trono di Arthedain, entrando ove nessuno (nemmeno io, nemmeno Annan) era riuscito ad avere accesso prima.
E là, nell’immensità buia delle sale un tempo casa di ispirazione e saggezza eterne, ecco il pilastro ove per ere aveva riposato la pietra veggente dell’Arnor del Nord, crepato e spaccato per la sua lunghezza, un oggetto d’oro e gemme profondamente infisso nel marmo candido da una mano dotata di forza sovrumana.
E accanto al pilastro, nero in tutto quel candore, il manto smosso dall’invisibile vento della Morte ed il braccio scheletrico teso verso lo scettro, mio padre.
Il mio perduto e maledetto padre, ombra sul cuore di mia Madre, distruttore della nostra casata, servo dell’Odiato, assassino della mia famiglia, la cui maschera di teschio d’ossidiana si volse a me quasi con terrore quando si rese conto della mia presenza.
“Egli segue ogni mia mossa, mio prezioso fiore. Vattene. Torna a Morgul e là resta.” Sussurrò nella lingua antica che solo noi parliamo.
Non lo ascoltai.
La mia ira, nel vederlo, fu troppa e troppo improvvisa. Dopotutto, lo stesso sangue che riscalda le vene dei miei fratelli scorre in parte anche dentro di me...
Richiamai il fuoco per attaccarlo, sorprendendo le guardie, stupendo le ombre che mi proteggevano. Lasciandoli tutti di stucco, attaccai l’uomo che un tempo mia madre aveva amato, l’uomo che con lei mi aveva generata, colpendolo con fiamme e fulmini e il gelo delle terre del Nord.
Combattemmo... non so dire per quanto. Più che replicare ai miei colpi, egli tentò semplicemente di proteggersi o scansarli... ma la furia mi aveva accecata. Per la prima volta nella mia vita, comprendevo le fiamme che rischiano ogni minuto di divorare Holan o Caran... quelle fiamme che sono il fuoco che li alimenta e che mi riscalda, e che loro tengono a freno, consumarono nella cieca furia la mia tanto vantata razionalità.
Riuscivo a pensare solo “Hai ucciso Morannan. Meriti la morte. Voglio vederti implorare e distruggerti mentre mi preghi per la tua miserabile vita!”
Ebbene... quasi ci riuscii. Spezzai la sua maschera e frantumai il braccio nonmorto che il maestro Demitri gli aveva donato per salvargli la vita prima ancora che io nascessi, prima che il contraccolpo magico mandasse in frantumi l’elmo che porto, così simile al suo e che egli mi donò prima di fare di se stesso uno schiavo, un cane alla catena del potere di uno schifoso viscido bastardo.
E così il mio volto venne rivelato a colui che il mio padre odiato serve. Il mio volto, dove la bellezza senza tempo di mia madre si mischia così perfettamente con i tratti degli U’thariol. Il mio volto, dove i miei occhi viola parlano della mia ascendenza meglio di quanto possa farlo il mio nome.
E con la folle avventatezza della mia età e della mia rabbia, lo chiamai “Padre”, e gli intimai di guardarmi in quelle iridi specchio delle sue, mentre facevo a lui quello che lui aveva fatto alla nostra amata Morannan.
E lui, il volto devastato dal pianto, chiuse gli occhi senza poter reggere il mio sguardo... e lessi sul suo volto la disperazione.
In quell’istante, prima che io potessi sferrare il colpo fatale ed incenerirgli il dannato cuore marcescente, quattro portali si aprirono nella sala, vomitando una quantità di nonmorti inusitata attorno a noi. Le mie ombre si aggrapparono alle mie braccia e mi trascinarono via dal mio monco genitore singhiozzante, le guardie fecero cerchio attorno a noi permettendoci di uscire dalla sala.
Quattro ne lasciammo sul campo, e due delle ombre morirono la notte successiva divorate dalle larve delle pustole, in preda a dolori atroci, qui nella casa ove ci siamo rifugiati per sfuggire alle orde mandate da Raknar per prendermi.

Io, così sciocca e stupida! Io così avventata e idiota e folle!
Io, che mi sono sempre vantata della mia fredda razionalità e della mia astuzia, e che mai avrei pensato che quel sangue che credevo morto e sopito fosse ancora così vivo e caldo dentro di me!
Io, io con le mie mani ho segnato la mia rovina e quella di chi è partito con me per proteggermi.
E madri non vedranno tornare i loro figli. E mogli non vedranno tornare i loro mariti.
Nè io, per la quale Morwen ha sacrificato quasi la sua vita, per la quale sono state fatte rinunce ed innalzate protezioni, rivedrò mai la mia casa, la mia terra, il mio amato Holan.
Morirò qui, nella terra sulla quale avrei dovuto regnare, con l’unica speranza che questo mio resoconto arrivi prima o poi nelle mani della mia famiglia.

Holan, sangue del mio sangue, fiamma di vita nella morte che mi circonda, mia ancora e mio per sempre amato... ringrazio ora la mia lungimiranza nel lasciarti a Morgul accanto alla nostra famiglia.
Se fossi stato qui con me... se oltre alla mia avessi segnato anche la tua rovina... questo pensiero per me è intollerabile.
Noi che siamo nati assieme, che siamo cresciuti assieme. Che abbiamo visto il mondo dopo la Guerra e l’Inizio di tutto questo.. nemmeno la morte potrà separarci.
Amor mio, Io sarò sempre con te. Nel tuo cuore, nei tuoi pensieri. Finchè mi ricorderai, io non morirò.
Ma ricordare non significa perdersi nelle memorie e non vivere di altro.
Se io dovessi perire qui... e perirò, poichè nessuno di noi è abbastanza forte da opporsi a Raknar da solo, non smettere di vivere.
La mia vita è la tua vita. Il mio cuore è il tuo cuore. La mia gioia è la tua gioia ed il mio pianto il tuo. Il tuo dolore è il mio, il tuo fuoco è il mio.
Ama, amor mio. Vivi. Sogna. Spera. Combatti. Poichè il pensiero che tu smetta di farlo mi è intollerabile.
E quando troverai te stesso tra le braccia di un’altra. Quando il tuo cuore ricomincerà a battere. Quando la vita avrà la meglio sulla morte... Io sarò con te. Vivrò in quell’amore, grazie a te. Gioirò, perchè sarai vivo.
E sarò ad attenderti, ovunque il fato mi mandi. Fosse anche il vuoto atemporale.... ci rivedremo, un giorno lontano. E saprò che il tuo respiro ha mantenuto viva quella parte di me che esiste dentro di te.

Morwen, amata madre mia. Ci sono cose che nemmeno i tuoi occhi lungimiranti possono prevedere.
Ma ci sono cose che io posso prevedere, col dono che mi hai trasmesso. Ed ora mi sono chiare.
Ci saranno altri figli, Morwen. Figli nati dall’amore tra te e il Padre che avrei voluto fosse mio. E avranno i tuoi occhi, e la tua lungimiranza, e il suo amore per il canto, e danzeranno sotto il cielo stellato della torre e sulle sabbie di Harad, e li amerai come hai amato me.
Ed io vivrò in loro come nel cuore del mio amato.
Non soffrire per me. Non darti colpe. La divinazione può molte cose... ma non può tutto. Me ne vado consapevole di strapparti un pezzo di cuore, amata madre mia, che a tutto hai rinunciato per tenermi al sicuro tra le tue braccia. Ma me ne vado conscia di essere stata amata come nessun’altra creatura sulla faccia di questo bel mondo tenebroso.

Caranthìr, mio amato piccolo drago.
Non avrei potuto amarti più di quanto ti amo.
Quando saprai, il tuo cuore si spezzerà. Tienilo integro. Non lasciarti andare alla fiamma. Non lasciarti consumare dal fuoco.
Ci sarà chi avrà bisogno della tua forza, del tuo cuore, di quella incrollabile volontà che hai forgiato.
La vendetta è niente, il dolore è niente, la sofferenza tempra. Io sarò con te ogni minuto di ogni ora di ogni giorno. Sarò nel cuore spezzato di nostra madre, nelle grida di Holan, nelle lacrime di Leo. Sarò nel pianto di Ra’hen, nella sofferenza di Ares, nel dolore di Annan... e non potrò aiutarli.
Fallo tu per me.
Proteggili. Tienili uniti. Impedisci loro di spezzarsi. Piangi e grida, ma non andare in frantumi.
TI affido questo compito, prima di andare.

Haran: tua è la forza ed il peso da sopportare. Portalo con onore, e lascia da parte la severità.
Ra’hen: bambina mia, sii forte per ciò che verrà.
Ad entrambi dico: aprite il vostro cuore alla verità. Guarirà le ferite di tutti, e vi legherà ancora di più.
Niniel: non c’è pace nè perdono per chi ferisce la propria famiglia. Non hai saputo essere forte a sufficienza, ed ora la tua debolezza è il nostro ludibrio. Addio, a te che non hai saputo capire. Non mi piangerai, nè io ti rimpiango.
Leo: amata maestra, mia famiglia, mio pilastro. Il cuore di una regina è sempre diviso tra dovere ed amore. Sei stata la mia seconda madre, mi hai fatta venire al mondo, sono nata nelle tue mani. Tu sei passata per il calvario che ora dovrà soffrire Morwen... ti prego, non abbandonarla e non abbandonarti.La tua forza è il fondamento della nostra famiglia.
Morshandar ed Ares, i padri che avrei desiderato per me. Lo siete stati... entrambi. E so che lo sarete un’ultima volta, e finirete ciò che io non ho avuto la possibilità di terminare. A Caran il sostegno, a voi la vendetta e la spada fiammeggiante.
Annan: tua l’eredità degli U’thariol, mia dolce cugina. Tuo è il trono vuoto di Fornost. Tue le voci di coloro che sono morti. Non resterò... andrò da Morannan e lì attenderò di rivedervi. Lasciami andare, piccola mia... non trattenermi, perchè vado serena, e poche anime hanno avuto la fortuna di essere amate e volute come io lo sono stata.

La notte è calata. Fornost è fredda e vuota di vita.
Qui, dove tutto finisce, vi lascio il mio addio. Io e Morannan attenderemo e veglieremo, sino al giorno in cui la tenebra ci riunirà tutti.
Le voci dei morti sigillano il mio fato.
Stanno arrivando...

I cadaveri striscianti di Raknar presto irrompono nella casetta ove Dy’noire e le guardie hanno trovato rifugio.
In fretta, fanno strage di coloro rimasti a proteggerla, e la trattengono sino all’arrivo del dannato necromante e del suo silenzioso sicofante.
Ma ciò che Dy’nesh aveva creduto si rivela errato. Raknar non si accontenterà di una misera fiala di sangue di quella figlia per la quale egli ha sacrificato sino all’ultima oncia di volontà... Ne vuole la vita, ne pretende il corpo morto e l’anima immortale.
E questo Dy’nesh non può permetterlo.
Raknar gli ordina di rimanere immobile a guardar morire il frutto dei suoi lombi, e dell’amore per la donna che lo ha maledetto.... ed è un ordine insindacabile, preciso, incontrastabile.
Dy’nesh U’thariol, ultimo principe di Armgro, è costretto ad assistere alla battaglia disperata di sua figlia, che non risparmia nemmeno un’oncia della magia che le scorre nelle vene... ma invano. La mano scheletrica di Raknar la raggiunge al petto, sfonda la cassa toracica, le strappa il cuore dal petto.
E mentre la vita svanisce dagli occhi color ametista, Dy’nesh è libero.
Libero di muoversi, libero di agire.
Ha guardato sua figlia morire, il comando del suo padrone termina il suo nefasto effetto.

E prima che Raknar possa parlare di nuovo, si muove veloce verso il corpo della figlia. Disintegra con un incantesimo il cuore che Raknar stringe nell’arto nonmorto, afferra Dy’noire con l’unico braccio rimasto e invoca il potere dentro di se.
L’ultima cosa che vede, prima di gettarsi nel portale, è Raknar che strilla la sua rabbia alla stanza vuota, e l’anima di Dy’noire che svanisce con un sospiro, diretta al Pozzo di Morgul, e alla pace che egli voleva impedirle di avere.
 
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