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L'Ombra della Città Bianca, BG Yhrian

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Highway To Ocean
view post Posted on 14/7/2014, 22:04




Nome: Yhrian
H: 1,60
Peso: 40 kg
Capelli: Neri, ma si andranno sbiancando completamente con l'avanzare dell'Ombra.
Occhi: Blu "come se contenessero assieme l'oceano ed il cielo di notte"
Classe: Bardo/Ombra
Razza: Mezza Numenoreana e mezza Dunedain
Allineamento: Neutrale/Malvagio
Divinità: Non se ne cura.

Tratti fisici e segni particolari: Pelle del "colore del chiaro di luna", grigio perlacea, che lei definisce "grigino un po' sporco".



«Mi chiedo per cosa ci prendiamo la briga di fare un simile addestramento.» aveva sentito dire una volta, da un giovanotto del’Accademia del Leone. «Non c’è nessuno da arrestare, di notte. Non ci sono ladri, nella Città Bianca.»
Lei aveva riso, silenziosamente, dal suo angolo nel vicolo.
«Hey, non ti sembra che ci sia qualcuno là?» il suo compagno di ronda aveva indicato il piccolo cumulo di “qualcosa”, accanto a qualche barile vuoto.
«No. E’ solo un mucchio di stracci.» aveva replicato il primo, non vedendo (o forse non volendo vedere) che quel mucchio di stracci respirava. Poi avevano continuato a camminare svogliatamente, persi nei racconti della loro vita di nobili, inconsapevoli di tutto.
“Sicuro”, aveva pensato il mucchio di stracci “Non ci sono ladri nella Città Bianca, ma ci sono i Ratti.”
Essere un Ratto non era piacevole, ma era l’unica vita che aveva, ed era certo meglio essere un Ratto che essere due metri sotto terra. Poteva correre nei vicoli e per i tetti senza essere notata, poteva osservare la luna dalla cima della torre di Echtelion, al caldo accanto alla pira spenta del fuoco di segnalazione; poteva spiare dalle grandi finestre ad arco acuto delle case, e guardare le mogli dei nobili tradire i mariti con gli stallieri, o le figlie portarsi in camera di nascosto gli sguatteri. Di tanto in tanto, si intrufolava in una casa vuota e dormiva per un’ora o due su materassi di piume, o scivolava nelle cucine spente durante la notte per farsi dare dalle cuoche una fetta di pane bianco e morbido da portare alla vecchia Mags, che con i tre denti che si ritrovava non riusciva a masticare i tozzi di pane raffermo raccolti nella spazzatura fuori dalla bottega del fornaio.
A volte, ma solo a volte, rubava un ninnolo o due dai portagioie stracolmi lasciati aperti sulle toelette, per barattarlo con medicinali del tempio o con libri.
Adorava le storie. Sembrava non averne mai abbastanza di favole di draghi, maghi, cavalieri ed Elfi. Spesso, in pagamento al suo servizio, la vecchia Mags si faceva portare dai Ladri Neri qualche libro dalla Città Oscura oltre il grande fiume, qualche storia di principi di antico rango e della grande isola che i Valar avevano inabissato per invidia.
Quelle erano le sue storie preferite.
Quando le leggeva alla vecchia Mags, di notte prima di addormentarsi, imitando le voci dei grandi re del passato, finiva sempre per appisolarsi con il libro sulla faccia e per sognare, notte dopo notte, della grande città a terrazze sotto il sole, circondata dal mare, e delle navi dalle bianche vele che solcavano gli oceani per arrivare alla Terra di Mezzo.
E di una enorme, gigantesca onda di marea, alta come la torre più alta della città, che si innalzava minacciosa contro di lei intenzionata ad affogarla…
Ma questo era un sogno che non le piaceva granché.
I racconti che in assoluto preferiva erano quelli delle battaglie.
Mags era brava a raccontare battaglie, perché le ricordava senza dover leggere parole scritte da altri.
Sapeva imitare il suono di una lama che esce dal fodero, e la vibrazione della corda di un arco quando scocca la freccia, e il barrito dei grandi Olifanti da battaglia che i Sudroni avevano cavalcato contro i Rohirrim nei campi del Pelennor.
Mags che viveva solo di suoni (perché l’Ombra le aveva rubato la luce dagli occhi quando era calata sulla città assieme agli eserciti degli Orchi, quindici anni prima), le aveva insegnato ad ascoltare i suoni nascosti del mondo e a capirli, a farli suoi, a riprodurli con quella voce meravigliosa che si ritrovava.
Se faceva bene attenzione a coprire con gli stracci ogni centimetro di pelle, a volte usava la voce per chiedere un po’ di elemosina all’angolo della locanda. Cantava per i passanti e loro si fermavano ad ascoltarla, incantati e straniti dal fatto che una cosetta così esile e povera potesse avere una voce tanto bella.
Ma se per sbaglio uno straccio si spostava, e mostrava la pelle grigia come il chiaro di luna o gli occhi blu, profondi e cupi come se contenessero assieme l’oceano e il cielo di notte, ecco che i passanti si ritraevano in preda all’orrore, lanciandole sassi ed immondizia e cacciandola a calci e bastonate.
Ci era nata, con quella voce e quegli occhi e quella pelle. Uscita dal grembo di una nobile Dunedain che l’aveva gettata in un vicolo come si fa con un cane storpio o con un abominio.
La vecchia Mags, allora cuoca per la famiglia di sua madre, aveva raccolto quel fagottino urlante e le aveva fatto da balia, nascondendola al caldo nelle stalle. A lei non importava di che colore fosse la pelle della piccolina. A lei importava che fosse una neonata grande appena come il suo piccolo Robb, morto di febbre infantile a pochi giorni dal parto. A lei importava solo di aver perso un figlio ed averne trovata una, alla quale dare tutto l’affetto e le cure che una madre può dare.
Quando il signore della casa l’aveva scoperta, pochi mesi dopo, le aveva cacciate entrambe.
E così si erano ritrovate a vivere tra i ratti della Città Bianca, perché nessuno aveva più voluto una cuoca che si trascinava appresso una neonata dalla pelle color chiaro di luna.
“L’infezione dell’Ombra”, la chiamavano. Un segno. Un simbolo del male.
Ma a Mags non era importato. Aveva protetto la piccola durante gli anni della guerra, l’aveva fatta crescere sveglia ed intelligente e libera, e quando l’Ombra le aveva strappato la vista ed aveva reso i suoi occhi bianchi come biglie di vetro, aveva trovato un modo di guadagnare il pane per entrambe che non richiedesse l’uso della vista.
E non importava nemmeno agli altri Ratti, di come lei fosse.
Un ratto è un ratto, di qualsiasi colore sia la sua pelle.
Aveva rivisto la sua bella madre (Mags gliel’aveva descritta fin troppo spesso per non riconoscerla) in un mattino d’estate, alcuni anni prima, mentre passeggiava con la Regina Arwen e le altre dame di compagnia per i giardini del tempio.
Oh, era davvero meravigliosa, con i capelli neri come la notte senza stelle, raccolti in trecce e adornati di fiori bianchi, e una veste rosa pallido che ne esaltava l’incarnato alabastrino e gli occhi castani e dolci come quelli di un cerbiatto. Ma quando quegli occhi si erano voltati verso la finestrella e l’avevano veduta, solo per un istante, si erano colmati di un orrore e di un odio così affilati da tagliare. Aveva urlato, indicando l’arco sotto il quale lei si era repentinamente nascosta, e la regina aveva dovuto tranquillizzarla e farle portare una tisana calmante, rassicurandola sul fatto che l’Ombra non poteva strisciare fino a loro, che la Città Bianca era protetta, che il male non avrebbe mai infettato la loro purezza.
Sapeva che sua madre l’aveva gettata via appena nata. Sapeva che ne aveva avuto così orrore da lasciarla cadere sul materasso appena gliel’avevano messa tra le braccia. Sapeva che, per aver partorito un simile abominio, aveva quasi perso il senno e non si era più voluta maritare. La vecchia Mags le aveva raccontato tutto questo, col passare del tempo e sempre a piccoli accenni, mentre le spiegava da dove veniva il suo sangue e perché, in 32 anni passati dalla sua nascita, lei fosse cresciuta come una sedicenne. Mentre le spiegava che lei era figlia della guerra allora solo all’inizio; figlia di un abuso; figlia di un Nero che aveva preso la sua nobile madre con la forza, dopo aver assaltato la carovana che la portava dalla Città Bianca ai prati d’Ithilien per conoscere un “fidanzato”.
Ma vivere sulla propria pelle il rifiuto di quella creatura, che ai suoi occhi pareva quasi angelica, era diverso.
Aveva rotto qualcosa, dentro di lei.
“Io non ho colpa”, continuava a ripetersi. “Non ho colpa di ciò che ha fatto mio padre. Non ho colpa di essere come sono.”
Anche la vecchia Mags glielo ripeteva in continuazione, quando la scopriva a piangere nel loro piccolo rifugio di botti vuote sotto al ponte nord.
«Tu non hai colpe, bambina mia. Avresti potuto scegliere, ma hanno scelto loro per te.»
E così lei aveva deciso di scegliere per se stessa, da quel momento in poi.
Era diventata più spietata, più propensa ad appropriarsi di ciò che serviva a lei e a Mags per sopravvivere, meno disposta a cedere il proprio bottino a qualcun altro. Con gli anni, Mags si era fatta vecchia e stanca, e la vita di stenti che conducevano i Ratti l’aveva lasciata malata e costantemente debole.
Lei faceva del suo meglio per alleviare le sofferenze dell’unica madre che avesse mai conosciuto: rubava più gioielli (spesso e volentieri dalla casa della disgustata donna che l’aveva messa al mondo), per barattarli con incantesimi di cura al tempio dei Valar; scambiava esibizioni alla locanda (sempre coperta da stracci o seduta in alto, su una balaustra, invisibile a tutti) per pasti e brodo bollente che curasse la tosse all’anziana; usciva dalla Porta della Luna (quella porticina nelle mura ad est della quale nessuno sapeva, coperta all’esterno da rovi rampicanti e invisibile all’occhio che non fosse esperto) per aggirarsi nelle campagne e rubare frutta e verdure fresche che le restituissero un po’ di colore.
L’unica cosa che la vecchia Mags non le lasciava fare era la guardia alla Porta della Luna, le due notti al mese in cui l’astro non mostrava il suo volto, in attesa che i Neri arrivassero a bussare. Non voleva che lei si immischiasse con quella faccenda che andava avanti dai tempi della Guerra dell’Anello, e che era sempre stata la loro fonte di guadagno principale.
Loro bussavano, e Mags apriva la porticina e tendeva la mano rugosa e deformata, dove loro posavano sacchetti di monetine di conio gondoriano o rohirrim e piccoli doni (libri, pozioni per curare l’artrite, prelibatezze del deserto sudrone come datteri, fichi secchi o dolci prelibati).
Alcuni si fermavano con Mags a chiacchierare delle ultime novità della Città Bianca, informandosi con fare gentile ed educato su come andava la sua salute o su come stava “sua figlia”, della quale lei parlava spesso ma che non aveva mai mostrato. Alcuni altri transitavano senza nemmeno ringraziare. Tre di loro, un uomo dai capelli neri e dagli occhi a mandorla color dell’acciaio e una coppia di ragazzini, lei con gli occhi dorati come monete e lui violetti come il cielo al tramonto, portavano sempre qualcosa in più del dovuto, fermandosi spesso oltre l’orario prestabilito per preparare alla vecchia tè caldi e tisane corroboranti provenienti dall’est e dalle foreste del lontano nord, luoghi di cui lei aveva solo sentito parlare nei racconti.
In quelle notti, le notti in qui uno di quei tre Neri si fermava a parlare con Mags una volta terminata la missione per cui era giunto in città, lei se ne stava chiusa in una delle botti rovesciate, in silenzio, ad ascoltare le loro strane voci musicali che raccontavano di terre lontane. La botte, che Mags chiudeva con un coperchio improvvisato dall’esterno, era grande abbastanza per ospitarne due o tre di ragazzine della sua taglia, ed era quanto di più vicino avesse mai avuto ad una camera da letto. Non le dispiaceva starsene comoda là dentro, ed addormentarsi con la voce della vecchia e dello straniero di turno che discutevano di posti che un Ratto non avrebbe mai potuto vedere.
Fu proprio una di quelle notti, la notte in cui cambiò tutto.
Erano venuti in tre quella notte: l’uomo alto dagli occhi color acciaio, una fanciulla, aggraziata come un ramo di salice, con vesti di un bianco accecante, e il ragazzo, quello con gli occhi violetti come un tramonto.
Ma il ragazzo aveva fatto qualcosa… “sbagliato” qualcosa, diceva l’uomo quando furono di ritorno. Aveva fatto un errore dettato dalla fretta, ed ora un gruppo di guardie li seguiva. Mags doveva andarsene, aveva detto l’uomo. Andarsene con loro e non tornare più, o l’avrebbero trovata.
Mags, però, non poteva andarsene.
Era troppo vecchia, aveva detto. Troppo vecchia e troppo stanca, e li avrebbe rallentati. E poi non poteva lasciare la sua bambina dalla pelle di luna sola tra i Ratti. Come se la sarebbe cavata, senza la sua vecchia madre?
I tre erano già all’interno del tunnel quando i passi delle guardie si erano fatti troppo vicini.
Mags, raccolte tutte le forze che possedeva, aveva chiuso la Porta della Luna sulle loro facce stupite. E c’era una cosa, che tutti loro sapevano: la Porta della Luna poteva essere aperta solo dall’interno, a causa degli incanti che difendevano la Città Bianca dagli uomini Neri.
Per questo avevano avuto bisogno di un’infiltrata per tutto quel tempo.
Lei era ancora dentro la botte quando i quattro energumeni in divisa nera della cittadella erano piombati su Mags, strappandola via dalla maniglia e trascinandola lontana dalla porta. Le avevano dato della megera, della traditrice, della corrotta. Il tutto mentre la prendevano a calci, e la ragazza prendeva a calci il coperchio della botte per uscire ed aiutare l’anziana madre.
Mags, rattrappita sotto quella gragnola di colpi violenti, per tutto il tempo aveva continuato ad urlare le stesse parole:
«Principe! Trova la mia Yhrian! Trovala e proteggila! Ti prego, Principe!»
Quando Yhrian, con un ultimo calcio, era riuscita a divellere il coperchio di legno, Mags non urlava già più.
E tutto era diventato rosso.
Rosso il sangue sul selciato, sugli stivali delle guardie, sui foderi delle loro spade. Rosso il cielo per l’alba imminente. Rosse le lacrime che solcavano il volto cieco e stanco di quella vecchia signora che l’aveva cresciuta, ed amata, e protetta. Rosse le dita fratturate. Rossa la bocca spalancata, in una muta preghiera a quelle nubi tristi che avevano iniziato a riversare sulle vie la loro canzone di pioggia fredda, piangendo la morte di quella povera donna.
Ed infine, rosso il sangue di quei quattro uomini, quando Yhrian era saltata loro addosso con la velocità di un fulmine, raccattando da terra uno dei coltellacci che usava per tagliare i piccoli bocconi di carne per Mags… ed usandolo per squartarli come maiali al macello.
Quando il resto della guarnigione era giunto correndo, attirato dalle grida delle guardie morenti, aveva trovato questo scricciolo di ragazzina a terra, con la vecchia Mags tra le braccia, lorda di sangue non suo ed immersa fino alle caviglie nelle budella ancora fumanti di quattro uomini adulti.
Nessuno sapeva il suo nome.
Nessuno le aveva dato un nome, tranne la vecchia Mags.
E così, quando era scappata correndo come il vento tra l’erba verde del Pelennor, nessuno aveva messo un nome sulla taglia che Elessar aveva promulgato per l’omicidio di una anziana donna, quattro guardie, ed un mercante residente al terzo livello.
Solo un ritratto del suo viso pallido come il chiaro di luna, e un titolo.
“L’Ombra della Città Bianca”.
 
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view post Posted on 14/7/2014, 22:18
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DM Este - Colei che può usare il magico tastino del "BAN"

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Lago di Lorellin, Valinor

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E' bellissimo *_*

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